Leggerezza. “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio” è il libro di Italo Calvino che raccoglie i testi di sei lezioni che lo scrittore avrebbe dovuto tenere all’università di Harvard durante l'anno accademico 1985-1986. Purtroppo Calvino morì nel 1985 e non fece in tempo a tenere le conferenze in programma. Il libro fu pubblicato postumo nel 1988. Ogni lezione tratta un valore che Calvino considerava importante in letteratura. L’ordine segue una gerarchia decrescente, a partire dal valore che Calvino reputava fondamentale: la leggerezza. Gli altri valori, scendendo a livello di importanza, sono rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza.
C’è una frase che mi ha sempre colpito, sin dalla prima lettura che ho fatto; una frase che vado spesso a rileggere e che cerco di fissarmi in mente -perlomeno nel suo significato- perché contiene una verità importante per me, una verità che ho bisogno di tener sempre presente: «Nel momento in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica».
Calvino cita appunto il mito di Perseo, l’eroe che indossa i sandali alati per decapitare Medusa -il mostro che aveva il potere di pietrificare con lo sguardo- affidandosi appunto alla leggerezza: «Si sostiene su ciò che vi è di più leggero, i venti e le nuvole…».
Il bisogno di leggerezza entrò nella mia vita in un momento difficile e davvero pesantissimo, un momento in cui cercavo un modo per volare via. Per un po’ provai a contrastare il peso schiacciante di quella realtà soltanto con tentativi di fuga nel sogno. Ma a nulla servirono quelle sbiadite immaginazioni di un altrove impossibile. A un certo punto capii che avevo bisogno dei miei saldali alati per sconfiggere lo sguardo che pietrifica; non sapevo quasi nulla di Italo Cavino, ancor meno del mito di Perseo: furono loro, non proprio i sandali alati ma una loro più o meno moderna declinazione, a mostrarsi al mio sguardo spaventato e a offrirmi una traiettoria di riscatto.
C’è una frase che mi ha sempre colpito, sin dalla prima lettura che ho fatto; una frase che vado spesso a rileggere e che cerco di fissarmi in mente -perlomeno nel suo significato- perché contiene una verità importante per me, una verità che ho bisogno di tener sempre presente: «Nel momento in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica».
Calvino cita appunto il mito di Perseo, l’eroe che indossa i sandali alati per decapitare Medusa -il mostro che aveva il potere di pietrificare con lo sguardo- affidandosi appunto alla leggerezza: «Si sostiene su ciò che vi è di più leggero, i venti e le nuvole…».
Il bisogno di leggerezza entrò nella mia vita in un momento difficile e davvero pesantissimo, un momento in cui cercavo un modo per volare via. Per un po’ provai a contrastare il peso schiacciante di quella realtà soltanto con tentativi di fuga nel sogno. Ma a nulla servirono quelle sbiadite immaginazioni di un altrove impossibile. A un certo punto capii che avevo bisogno dei miei saldali alati per sconfiggere lo sguardo che pietrifica; non sapevo quasi nulla di Italo Cavino, ancor meno del mito di Perseo: furono loro, non proprio i sandali alati ma una loro più o meno moderna declinazione, a mostrarsi al mio sguardo spaventato e a offrirmi una traiettoria di riscatto.
Un immenso palazzo a ferro di cavallo, tutto finestre, con un monumentale ingresso fatto di poderosi scalini di pietra sormontati da una serie di colonne altrettanto mastodontiche. Così si presentava quella scuola, e io ero convinto che quel palazzo così grande e austero sarebbe stato il teatro della mia libertà. Invece stava per diventare la mia prigione.
Era proprio il 1985, l’anno in cui Calvino avrebbe dovuto tenere le sue “Lezioni americane” appunto in un’università oltreoceano. Avrebbe dovuto parlare di leggerezza ma non potè. Io questo non lo sapevo, ma intanto le mie speranze di leggerezza stavano per essere schiacciate dalla mano greve delle violenza. Furono giorni, mesi, addirittura anni cupi, pieni di vessazioni e di botte. Eppure quando l’intervallo dalle lezioni mi permetteva si fuggire un po’ da quell’aula maledetta, respiravo nei corridoi un’atmosfera di libertà: tutta quella giovinezza spensierata, che nella mia aula era drammaticamente schiacciata in una sua caricatura cattiva, si mostrava a me inafferrabile e affascinante, annunciandosi con un seducente odore di sigaretta e passandomi accanto spedita in tanti passi avvolti nelle Converse All Star.
Quel mondo sembrava magico, libero, ricco di incontri, di bellezza, di trasgressione, di avventura.
Era proprio il 1985, l’anno in cui Calvino avrebbe dovuto tenere le sue “Lezioni americane” appunto in un’università oltreoceano. Avrebbe dovuto parlare di leggerezza ma non potè. Io questo non lo sapevo, ma intanto le mie speranze di leggerezza stavano per essere schiacciate dalla mano greve delle violenza. Furono giorni, mesi, addirittura anni cupi, pieni di vessazioni e di botte. Eppure quando l’intervallo dalle lezioni mi permetteva si fuggire un po’ da quell’aula maledetta, respiravo nei corridoi un’atmosfera di libertà: tutta quella giovinezza spensierata, che nella mia aula era drammaticamente schiacciata in una sua caricatura cattiva, si mostrava a me inafferrabile e affascinante, annunciandosi con un seducente odore di sigaretta e passandomi accanto spedita in tanti passi avvolti nelle Converse All Star.
Quel mondo sembrava magico, libero, ricco di incontri, di bellezza, di trasgressione, di avventura.
Avrei tanto voluto farne parte, ma non sapevo come fare: come potevo spezzare le catene che mi angustiavano in quella classe lurida? Come facevo a mostrarmi con tutte le mie emozioni straripanti dei miei sedici anni a quel mondo in cui avrei voluto stare?
Allora, proprio inconsapevolmente -né le pagine di Calvino né il mito di Perseo potevano arrivare a me- iniziai a sentire che forse quelle scarpe, quelle strane scarpe di gomma e tela con quella stella nella parte interna appena sotto la caviglia, avrebbero potuto sospingermi in alto, darmi coraggio e permettermi di sconfiggere quell’orrore quotidiano.
Per un po’ in realtà, le All Star mi avevano lasciato piuttosto perplesso: così vistose, addirittura sfacciate, ostentatamente “antiche”, le sentivo lontanissime dal mio modo di essere: del resto ero un timido ragazzino cresciuto in un piccolo paese di provincia, con i tutti i crismi di un’educazione cattolico-popolare in cui ogni forma di espressione personale un po’ sopra le righe era tacciata di esibizionismo e di frivolezza. Le All Star erano scarpe da frivoli esibizionisti; almeno così io le vedevo. E mai avrei voluto che qualcuno pensasse di me che ero così: un frivolo esibizionista. Allora avevo fatto finta che non mi interessassero, ma quell’impostura era durata ben poco: avevo presto iniziato ad ammirarle, poi a desiderarle, prima sobriamente infine ardentemente. Forse quella che taluni definivano frivolezza -ci penso ora- era semplicemente la forma più prossima ed afferrabile della leggerezza. Dunque iniziai a nutrire quel desiderio inconfessabile di cui però mi vergognavo: troppo audaci loro, troppo immoralmente innamorato io: «Le adoro ma non fanno per me» mi ripetevo, mentre intorno a me continuava a piovere violenza pietrificante. Rimasi un bel po’ di tempo, più di un anno -che quando di anni ne hai sedici è un’era- bloccato lì, a rifugiarmi al più nelle mie fantasie.
Poi ad un tratto presi la decisione. Mi ricordo del desiderio straripante che si gonfiava sempre più dentro di me, mi ricordo le emozioni sempre più violente che rapivano il mio corpo e la mia mente al pensiero di essere finalmente come da tanto tempo sognavo. Mi ricordo del preciso momento in cui -finalmente- non potei più controllarlo quel desiderio: mi ricordo di un pomeriggio di tarda primavera, di una voglia piena di eros, di una pioggia battente che sembrava non finire mai e io alla finestra a sperare e a pregare che spiovesse per uscire d realizzare finalmente il mio sogno.
Finalmente le nuvole che si squarciano, il sole che si insinua in quello spazio di speranza, il vento che spazza via tutto il grigio, l’azzurro che si mostra saturo e pieno di promesse. E io che salto sulla Vespa, che plano su Biella colmo di emozione, che entro in uno storico negozio di abbigliamento sportivo, che chiedo “un paio di All Star alte blu, numero 43”, che forse balbetto un po’, che non mi sembra quasi vero di essere lì e di averlo detto davvero, che aspetto temendo che il commesso non torni più, che vedo la scatola color argento –ricordate?-, che guardo il commesso mentre ne estrae le scarpe, che me le porge, che me le fa provare. E qualcosa di immenso che esplode dentro di me, una vertigine, una gioia mai provata, forse persino davvero la sensazione di volare.
Allora, proprio inconsapevolmente -né le pagine di Calvino né il mito di Perseo potevano arrivare a me- iniziai a sentire che forse quelle scarpe, quelle strane scarpe di gomma e tela con quella stella nella parte interna appena sotto la caviglia, avrebbero potuto sospingermi in alto, darmi coraggio e permettermi di sconfiggere quell’orrore quotidiano.
Per un po’ in realtà, le All Star mi avevano lasciato piuttosto perplesso: così vistose, addirittura sfacciate, ostentatamente “antiche”, le sentivo lontanissime dal mio modo di essere: del resto ero un timido ragazzino cresciuto in un piccolo paese di provincia, con i tutti i crismi di un’educazione cattolico-popolare in cui ogni forma di espressione personale un po’ sopra le righe era tacciata di esibizionismo e di frivolezza. Le All Star erano scarpe da frivoli esibizionisti; almeno così io le vedevo. E mai avrei voluto che qualcuno pensasse di me che ero così: un frivolo esibizionista. Allora avevo fatto finta che non mi interessassero, ma quell’impostura era durata ben poco: avevo presto iniziato ad ammirarle, poi a desiderarle, prima sobriamente infine ardentemente. Forse quella che taluni definivano frivolezza -ci penso ora- era semplicemente la forma più prossima ed afferrabile della leggerezza. Dunque iniziai a nutrire quel desiderio inconfessabile di cui però mi vergognavo: troppo audaci loro, troppo immoralmente innamorato io: «Le adoro ma non fanno per me» mi ripetevo, mentre intorno a me continuava a piovere violenza pietrificante. Rimasi un bel po’ di tempo, più di un anno -che quando di anni ne hai sedici è un’era- bloccato lì, a rifugiarmi al più nelle mie fantasie.
Poi ad un tratto presi la decisione. Mi ricordo del desiderio straripante che si gonfiava sempre più dentro di me, mi ricordo le emozioni sempre più violente che rapivano il mio corpo e la mia mente al pensiero di essere finalmente come da tanto tempo sognavo. Mi ricordo del preciso momento in cui -finalmente- non potei più controllarlo quel desiderio: mi ricordo di un pomeriggio di tarda primavera, di una voglia piena di eros, di una pioggia battente che sembrava non finire mai e io alla finestra a sperare e a pregare che spiovesse per uscire d realizzare finalmente il mio sogno.
Finalmente le nuvole che si squarciano, il sole che si insinua in quello spazio di speranza, il vento che spazza via tutto il grigio, l’azzurro che si mostra saturo e pieno di promesse. E io che salto sulla Vespa, che plano su Biella colmo di emozione, che entro in uno storico negozio di abbigliamento sportivo, che chiedo “un paio di All Star alte blu, numero 43”, che forse balbetto un po’, che non mi sembra quasi vero di essere lì e di averlo detto davvero, che aspetto temendo che il commesso non torni più, che vedo la scatola color argento –ricordate?-, che guardo il commesso mentre ne estrae le scarpe, che me le porge, che me le fa provare. E qualcosa di immenso che esplode dentro di me, una vertigine, una gioia mai provata, forse persino davvero la sensazione di volare.
Ecco, quello è stato il momento che mi ha cambiato la vita, l’inizio di un movimento che un poco alla volta mi ha permesso di sconfiggere la malefica medusa, che ha piano piano ma in modo incessante, definito il mio universo di valori: la consapevolezza in me stesso, l’importanza del desiderio realizzato, la fierezza nel vivere le proprie passioni.
Ci è voluto un bel po’ di tempo, ma ciò che poi ho distillato come visione della vita è partito da lì, da quel momento di presa di possesso di ciò che intimamente mi apparteneva, da quelle scarpe di gomma e tela che, proprio nel loro essere vistose e persino frivole, definivano alla perfezione ciò che sentivo dentro: quel desiderio di cui mi ero scioccamente vergognato pur amandolo visceralmente.
Eccoli i miei sandali alati, anzi, eccole le mie scarpe con la stella, che mi hanno accompagnato nei miei giorni, che ad un certo punto ho vigliaccamente tradito credendole superflue e superate, in un una stagione in cui vagheggiavo una sorta di conformista “maturità. Eccole le mie scarpe con la stella che ho ripreso, anzi che mi hanno ripreso, quando il fallimento ha mostrato l’inconsistenza di quel vagheggiamento, che mi hanno fatto compagnia lungo le strade del mondo e in certi baci d’amore, che mi regalano ogni volta emozioni vitali che mi sostengono “tra i venti e le nuvole” nella dimensione in cui ho scelto di vivere: la leggerezza.
Ci è voluto un bel po’ di tempo, ma ciò che poi ho distillato come visione della vita è partito da lì, da quel momento di presa di possesso di ciò che intimamente mi apparteneva, da quelle scarpe di gomma e tela che, proprio nel loro essere vistose e persino frivole, definivano alla perfezione ciò che sentivo dentro: quel desiderio di cui mi ero scioccamente vergognato pur amandolo visceralmente.
Eccoli i miei sandali alati, anzi, eccole le mie scarpe con la stella, che mi hanno accompagnato nei miei giorni, che ad un certo punto ho vigliaccamente tradito credendole superflue e superate, in un una stagione in cui vagheggiavo una sorta di conformista “maturità. Eccole le mie scarpe con la stella che ho ripreso, anzi che mi hanno ripreso, quando il fallimento ha mostrato l’inconsistenza di quel vagheggiamento, che mi hanno fatto compagnia lungo le strade del mondo e in certi baci d’amore, che mi regalano ogni volta emozioni vitali che mi sostengono “tra i venti e le nuvole” nella dimensione in cui ho scelto di vivere: la leggerezza.
Enrico Neiretti
Foto di copertina: Daniele Colucci - Unsplash - Foto All Star: Oscar Gutierrez - Unsplash
© Tutti i diritti sono riservati
“La provincia ti cuce addosso un ruolo. Cresci così, guardando il mondo in una direzione obbligata, stretto nei tuoi abiti costrittivi, con gli occhi che vagano in un orizzonte ristretto alla ricerca dei pochi punti di riferimento che hai. Ma la mente non smette mai di viaggiare, di sognare, di anelare qualcosa di diverso. E il tuo sguardo la segue: mano a mano che le prospettive si fanno un po’ più ampie, che il mondo offre qualche immagine di sé, lo sguardo fatalmente si allontana dalle imposizioni e dalle imposture e si innamora delle espressioni di libertà. Poi un giorno succede che qualcuno ti chieda: «Ma tu cosa desideri davvero?» Per un attimo esiti, vacilli, tremi: abbattere il muro ormai sbrecciato e che ti trattiene da sempre o schernirti, nasconderti, restare fermo? Capisci che quella voce è lì per darti un’opportunità preziosa. E allora respiri forte e inizi a raccontare.”
Mi chiamo Enrico Neiretti, ho passato da un po’ i cinquanta, vivo e lavoro tra le piccole province di Biella e Vercelli. Le storie, i luoghi, i linguaggi, gli stili, l’esplorazione sono le mie passioni. Pratico una sorta di flânerie alla ricerca di qualcosa che risuoni alla stessa frequenza delle mie emozioni.
Ufficio stampa: [email protected]
Mi chiamo Enrico Neiretti, ho passato da un po’ i cinquanta, vivo e lavoro tra le piccole province di Biella e Vercelli. Le storie, i luoghi, i linguaggi, gli stili, l’esplorazione sono le mie passioni. Pratico una sorta di flânerie alla ricerca di qualcosa che risuoni alla stessa frequenza delle mie emozioni.
Ufficio stampa: [email protected]